Ed eccoci a noi. Finalmente il vino viene messo in bottiglia e chiuso con un tappo, generalmente di sughero, ma sui metodi di tappatura ritorneremo nel capitolo “Leggende Metropolitane”.
Vi è una categoria di vini “unfiltered” non filtrati, che mantengono intatte tutte le sostanze derivanti dalla vinificazione e dalla maturazione in botte. Nella maggioranza dei casi l’operazione di imbottigliamento è preceduta da una filtratura, molto leggera per i grandi vini, e dall’aggiunta di una piccola dose di anidride solforosa. Tutto questo processo di travaso è abbastanza stressante per il vino che deve a questo punto riposare per almeno due mesi prima di poter essere assaggiato.
Ma alla nostra cantina interessano solo i vini da lungo invecchiamento, quindi parliamo di quelli e soltanto di quelli. Anche se…. Anche se i francesi hanno l’abitudine di rifornirsi annualmente di vino alle Foires aux Vins di novembre ma tutti i vini acquistati non vengono consumati subito, ma posti in cantina e stappati in media dopo almeno 5 anni. E questo vale anche per molti vini bianchi.
Quando il vino va in bottiglia il tappo impedisce ogni contatto con l’aria esterna e quindi con l’ossigeno. Il vino consuma naturalmente molto ossigeno e quel poco che rimane fra il collo e il tappo viene assorbito in pochi minuti. Da questo momento in poi tutte le trasformazioni (ricordatevi che il vino è vivo, non si ferma mai) che avvengono in bottiglia sono trasformazioni in assenza di ossigeno ovvero in ambiente riduttivo.
È il momento forse più significativo per la nostra bottiglia, il momento, o meglio il periodo durante il quale si forma il bouquet, il ventaglio di aromi che costituisce uno dei più importanti fattori di qualità per un vino, il marcatore distintivo di una grande bottiglia.
I fenomeni di trasformazione coinvolgono in gran parte lo zolfo contenuto nel vino. Contenuto naturalmente e in piccola parte aggiunto,ma anche su questo argomento ritorneremo nel capitolo “Leggende Metropolitane” per controbattere gli originali sostenitori dei “vini senza solfiti”.
Uno dei fenomeni di ossidoriduzione consiste nell’aumento di DMS dimetilsolfuro (a seconda dei casi: aroma di mela cotogna, asparago, mais, melassa, tartufo, metallo) ed è fortemente correlato con la “maturazione del bouquet”. Tutti i composti volatili solforati sono degli aromi potenti con bassi valori di soglia sensoriale, quindi facili da percepire anche dai non esperti.
Poi abbiamo i fenomeni di acetalizzazione, ovvero una molecola di alcol ed una di aldeide si fondono in una molecola di acetale, intensamente aromatica.
Lo stesso avviene con l’esterificazione (alcol + acido si fonde in un estere aromatico) con conseguente aumento dei profumi e leggera diminuzione dell’acidità del vino, e con l’eterificazione (alcol+ alcol si fonde in etere fortemente aromatico).
In parole povere i profumi contenuti nell’uva (primari) e quelli che si originano durante la fermentazione (secondari) si trasformano nei cosiddetti “aromi terziari”, profumi più “seri e maturi”, più complessi e profondi che conferiscono al vino sentori di spezie orientali, di resine, di legno esotico, di caramello o di tostatura, rendendo più fini anche le speziature derivanti dal soggiorno del vino in legno, barrique o botte che sia.
E ancora abbiamo altre trasformazioni dai nomi difficili come la “reazione di Maillard” e la “degradazione di Strecker”. Nella prima uno zucchero si fonde con un aminoacido e da luogo a profumi di lievito, crosta di pane, pasticceria. La seconda coinvolge sostanze azotate e da luogo a sentori di pop corn, nocciola verde o tostata, kiwi, malto, oppure sostanze solforate con sviluppo di aromi di caffè torrefatto, fava di cacao, gomma.
Poi ci sono i vini passiti o fortificati come il Porto, lo Xeres (Sherry) o il Madeira. Qui avvengono delle reazioni (aldolizzazioni) che originano il caratteristico profumo maderizzato e di “rancio” come dicono gli spagnoli.
In tutti i casi, tralasciando i tecnicismi, il concetto principale è quello che il vino evolve continuamente, lavora, diventa più complesso e più fine, più prezioso, muta il suo aspetto fino a raggiungere un periodo di maturità e di eccellenza che per i grandi vini dura molto a lungo.
Tutto questo però è vero se le condizioni in cui la bottiglia riposa sono ottimali. Giusto silenzio, assenza di vibrazioni, nessun odore molesto, corrette condizioni di temperatura e umidità, poca luce e quella poca con il giusto spettro: queste sono alcune delle caratteristiche che una buona cantina di invecchiamento deve avere. Il vino lavora riposando. Un concetto difficile da applicare agli umani, ma che per il nostro prezioso nettare è di importanza fondamentale. Tutte le cure possibili devono essere indirizzate al rispetto di questo concetto e queste cure continueranno anche al momento della decisione di aprire quella bottiglia.
La cantina sarà dotata di tutti gli attrezzi e dei giusti spazi per compiere con precisione tutte le operazioni necessarie per un servizio corretto di un grande vino, come vedremo nel seguito.
Paolo Valdastri