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IL RUOLO DELLA CANTINA: L’AFFINAMENTO DEL VINO. CAPITOLO 3 – INVECCHIAMENTO IN BOTTIGLIA – AMBIENTE RIDUTTIVO

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Ed eccoci a noi. Finalmente il vino viene messo in bottiglia e chiuso con un tappo, generalmente di sughero, ma sui metodi di tappatura ritorneremo nel capitolo “Leggende Metropolitane”.

Vi è una categoria di vini “unfiltered” non filtrati, che mantengono intatte tutte le sostanze derivanti dalla vinificazione e dalla maturazione in botte. Nella maggioranza dei casi l’operazione di imbottigliamento è  preceduta da una filtratura, molto leggera per i grandi vini, e dall’aggiunta di una piccola dose di anidride solforosa. Tutto questo processo di travaso è abbastanza stressante per il vino che deve a questo punto riposare per almeno due mesi prima di poter essere assaggiato.

Ma alla nostra cantina interessano solo i vini da lungo invecchiamento, quindi parliamo di quelli e soltanto di quelli. Anche se…. Anche se i francesi hanno l’abitudine di rifornirsi annualmente di vino alle Foires aux Vins di novembre ma tutti i vini acquistati non vengono consumati subito, ma posti in cantina e stappati in media dopo almeno 5 anni. E questo vale anche per molti vini bianchi.

Quando il vino va in bottiglia il tappo impedisce ogni contatto con l’aria esterna e quindi con l’ossigeno. Il vino consuma naturalmente molto ossigeno e quel poco che rimane fra il collo e il tappo viene assorbito in pochi minuti. Da questo momento in poi tutte le trasformazioni (ricordatevi che il vino è vivo, non si ferma mai) che avvengono in bottiglia sono trasformazioni in assenza di ossigeno ovvero in ambiente riduttivo.

È il momento forse più significativo per la nostra bottiglia, il momento, o meglio il periodo durante il quale si forma il bouquet, il ventaglio di aromi che costituisce uno dei più importanti fattori di qualità per un vino, il marcatore distintivo di una grande bottiglia.

I fenomeni di trasformazione coinvolgono in gran parte lo zolfo contenuto nel vino. Contenuto naturalmente e in piccola parte aggiunto,ma anche su questo argomento ritorneremo nel capitolo “Leggende Metropolitane” per controbattere gli originali sostenitori dei “vini senza solfiti”.

Uno dei fenomeni di ossidoriduzione consiste nell’aumento di DMS dimetilsolfuro (a seconda dei casi: aroma di mela cotogna, asparago, mais, melassa, tartufo, metallo) ed è fortemente correlato con la “maturazione del bouquet”. Tutti i composti volatili solforati sono degli aromi potenti con bassi valori di soglia sensoriale, quindi facili da percepire anche dai non esperti.

Poi abbiamo i fenomeni di acetalizzazione, ovvero una molecola di alcol ed una di aldeide si fondono in una molecola di acetale, intensamente aromatica.

Lo stesso avviene con l’esterificazione (alcol + acido si fonde in un estere aromatico) con conseguente aumento dei profumi e leggera diminuzione dell’acidità del vino, e con l’eterificazione (alcol+ alcol si fonde in etere fortemente aromatico).

In parole povere i profumi contenuti nell’uva (primari)  e quelli che si originano durante la fermentazione (secondari)  si trasformano nei cosiddetti “aromi terziari”, profumi più “seri e maturi”, più complessi e profondi che conferiscono al vino sentori di spezie orientali, di resine, di legno esotico, di caramello o di tostatura, rendendo più fini anche le speziature derivanti dal soggiorno del vino in legno, barrique o botte che sia.

E ancora abbiamo altre trasformazioni dai nomi difficili come la “reazione di Maillard” e la “degradazione di Strecker”. Nella prima uno zucchero si fonde con un aminoacido e da luogo a profumi di lievito, crosta di pane, pasticceria. La seconda coinvolge sostanze azotate e da luogo a sentori di pop corn, nocciola verde o tostata, kiwi, malto, oppure sostanze solforate con sviluppo di aromi di caffè torrefatto, fava di cacao, gomma.

Poi ci sono i vini passiti  o fortificati come il Porto, lo Xeres (Sherry) o il Madeira. Qui avvengono delle reazioni (aldolizzazioni) che originano il caratteristico profumo maderizzato e di “rancio” come dicono gli spagnoli.

In tutti i casi, tralasciando i tecnicismi, il concetto principale è quello che il vino evolve continuamente, lavora, diventa più complesso e più fine, più prezioso, muta il suo aspetto fino a raggiungere un periodo di maturità e di eccellenza che per i grandi vini dura molto a lungo.

Tutto questo però è vero se le condizioni in cui la bottiglia riposa sono ottimali. Giusto silenzio, assenza di vibrazioni, nessun odore molesto, corrette condizioni di temperatura e umidità, poca luce e quella poca con il giusto spettro: queste sono alcune delle caratteristiche che una buona cantina di invecchiamento deve avere. Il vino lavora riposando. Un concetto difficile da applicare agli umani, ma che per il nostro prezioso nettare è di importanza fondamentale. Tutte le cure possibili devono essere indirizzate al rispetto di questo concetto e queste cure continueranno anche al momento della decisione di aprire quella bottiglia.

La cantina sarà dotata di tutti gli attrezzi e dei giusti spazi per compiere con precisione tutte le operazioni necessarie per un servizio corretto di un grande vino, come vedremo nel seguito.

Paolo Valdastri

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IL RUOLO DELLA CANTINA: L’AFFINAMENTO DEL VINO. CAPITOLO 2 – AFFINAMENTO IN AMBIENTE OSSIDATIVO

Prosegue il viaggio attraverso il Vino e le Cantine con la nostra guida d’eccezione Paolo Valdastri.
Un percorso affascinante ed avvincente tra grandi firme e nozioni tecniche,
raccontate come solo un grande anfitrione è in grado di fare.

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Prendiamo in esame il mondo dei grandi rossi, cominciando da quelli di stile bordolese (Bordeaux, Rhône, Bolgheri, Sud Italia, California, Sud Africa, Australia, Cile). Già perché vedremo che non tutti i vini si affinano ed invecchiano nello stesso modo. Tutta colpa del loro “corredo polifenolico” che in parole povere è la quantità di sostanze coloranti, di tannini e polifenoli che sono contenuti nel vino e questa quantità varia per ogni varietà di uva. Il Sangiovese del Chianti e del Brunello o il Pinot Nero della Borgogna, ad esempio, hanno un corredo basso (dell’ordine di 1600 mg/l), mentre il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc, il Merlot, la Syrah, hanno un corredo alto (ordine di 2400 mg/l) e uve “strane” come il Sagrantino o il Tannat hanno corredo altissimo (ordine di 6000mg/l).

La maturazione tipica dei vini bordolesi avviene in barrique, ovvero nella tradizionale botte da 235l di rovere del massiccio centrale francese, spaccato e non segato, maturato per due anni alle intemperie, piegato a fuoco e assemblato. Il vino viene messo in barrique il prima possibile durante o subito dopo la malo lattica e qui rimane per un periodo che va da uno a due anni a seconda della struttura del vino e della bontà dell’annata. Il vino si travasa ogni tre mesi. Le barrique possono essere nuove al 100% oppure al 50% o al 33% a seconda sempre delle scelte del produttore, del territorio di produzione o della struttura del vino.

Alla fine il vino viene chiarificato (tradizionalmente si faceva con il chiaro d’uovo montato) e messo in bottiglia.

Questo processo è nato per caso, o meglio per motivi storici molto complessi, risalenti al primo Medio Evo, che niente avevano a che fare con l’enologia. La barrique insomma era utilizzata come contenitore di trasporto e di conservazione. Si è capito solo di recente che la leggendaria longevità dei vini di Bordeaux dipendeva proprio dalla permanenza del vino in questo contenitore.

Sintetizzando al massimo: la barrique è un contenitore poroso che funziona come una membrana. Il vino al suo interno subisce un processo di micro ossigenazione. I Francesi di Bordeaux hanno studiato quanto ossigeno passa dalle doghe, quanto dai fondi, quanto dalla barrique con il tappo in alto (bonde dessus) e quanto dalla barrique con il tappo di lato (bonde de côté), quanto dai travasi e così via.

Questa quantità di ossigeno è quella giusta per creare un fenomeno importantissimo. Le sostanze coloranti (antociani) che altrimenti precipiterebbero dopo pochi anni, si legano ai tannini grazie all’acido gallico contenuto nel legno e ad un ponte di etanale attivato dall’ossigenazione. La molecola che si forma tra antociano e tannino è molto più colorata dell’antociano di partenza, ma soprattutto è stabile e non si deteriora che dopo lunghissimi anni. Semplice vero? Ci sono poi molte altre reazioni notevoli, ma non vogliamo disturbare con un eccesso di tecnica enologica.

E gli altri vini?

Per la categoria dei Sangiovese – Pinot Noir ci sarà un minore bisogno di legno nuovo e di tempo di permanenza, insomma di un minore scambio di ossigeno e acido gallico del rovere. In Borgogna si utilizzano barriques nuove solo in piccolissima misura, nel mondo del Sangiovese è preferibile utilizzare contenitori in legno più grandi, come i tonneaux da 450 l o addirittura e grandi botti tradizionali da diversi quintali di capacità.

Per la categoria dei super dotati come Sagrantino o Tannat è invece necessario legno nuovo e affinamenti che raggiungono i 40 mesi, come nel caso del Madiran XL (numero latino che significa 40) di Château Montus nel Sud-Ovest della Francia.

Paolo Valdastri

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IL RUOLO DELLA CANTINA: L’AFFINAMENTO DEL VINO. CAPITOLO 1 – LA FERMENTAZIONE

È con vero piacere che La Cantina di Paul inizia a pubblicare una serie di articoli, recanti la prestigiosa firma di Paolo Valdastri, inerenti all’invecchiamento del Vino ed alle caratteristiche ambientali ad esso correlate.
Sarà un percorso di grande spessore tecnico, ma anche piacevole da seguire, accompagnati dalle parole di questo anfitrione eccezionale.
Dunque vi auguriamo buona lettura, buon viaggio e procediamo senza altri indugi alla pubblicazione del primo capitolo.

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Si sente spesso parlare di invecchiamento del vino e di vino “vecchio”. È un termine corretto?
In effetti il vino, tra tutte le bevande che esistono, è sicuramente il liquido più “vivo” che ci sia.
Il vino nasce dall’uva e dal momento della pigiatura degli acini in poi non smette mai di trasformarsi, di modificare le sue caratteristiche fisiche e chimiche e, di conseguenza, quelle organolettiche, neanche dopo decine e decine di anni.

Esattamente come un essere umano, il vino nasce, cresce, diventa adulto, poi maturo, poi vecchio, quindi decrepito e questo avviene in un lasso di tempo che non è uguale per tutti i vini. Questa durata di vita dipende da una serie grandissima di fattori e di variabili, la cui conoscenza è indispensabile per poter prevedere con ragionevole accuratezza le potenzialità di ogni singolo vino, ma soprattutto per prendere tutti gli accorgimenti necessari per accompagnarlo nella sua vita senza che si deteriori e compiere il rito della stappatura nel momento più giusto per ogni bottiglia.

Affronteremo questo percorso per tappe con lo scopo di spiegare che la “sacralità” di cui è avvolto l’ambiente della cantina non è una costruzione mentale priva di senso, ma è un concetto pieno di contenuti pratici e operativi.

Il vino dunque nasce dalla spremitura dell’uva. Gli zuccheri contenuti nell’acino, per opera dei lieviti che si trovano sulla buccia, si trasformano in alcol e anidride carbonica in quel fenomeno che si chiama “fermentazione tumultuosa”. Sulla buccia ci sono poi gli aromi, le sostanze coloranti (antociani e flavonoidi) ed i tannini, appartenenti alla cosiddetta famiglia dei “polifenoli” dalle caratteristiche astringenti e dei quali si decantano le capacità salutari come antiossidanti ed anticancerogeni. Nell’acino invece sono contenuti numerosi acidi, che serviranno a dare freschezza e piacevolezza di beva al nostro vino.
Finita la fermentazione tumultuosa il vino subisce una seconda fermentazione che però non dipende dai lieviti, ma dai batteri lattici. Si chiama “fermentazione malolattica” semplicemente perché l’acido malico (quello tipico delle mele verdi acerbe, per intendersi) si trasforma in acido lattico, molto meno aggressivo. Il vino diventa più morbido e più rotondo, per cui questa fermentazione è sempre ricercata nei vini rossi, mentre nei bianchi bisognosi di maggiore freschezza acida, molto spesso si evita.
A questo punto il vino è teoricamente pronto per essere bevuto. Certi vini semplici in questa fase vengono fatti riposare per qualche mese in tino e poi possono essere tranquillamente imbottigliati e bevuti.

Per i grandi vini, invece, questo è solo l’inizio di un lunghissimo percorso.

(Paolo Valdastri)

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